
Eumendi
con Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan, Debora Zuin
Regia Serena Senigaglia
Adattamento drammaturgico Serena Sinigaglia e Gabriele Scotti
Traduzione del testo greco a cura di Maddalena Giovannelli
Scene Maria Spazzi
Luci Alessandro Verazzi
Cori Francesca Della Monica
Movimenti Alessio Maria Romano
Produzione esecutiva ATIR
Coproduttori Teatro Carcano Milano, CMC/Nidodiragno
Sono molti, moltissimi anni che mi occupo di “questioni femminili”.
Lo faccio perché sono una donna, certo, e nel corso della mia vita privata e professionale mi sono dovuta confrontare con discriminazioni di genere e ingiustizie varie.
Ma non è solo questo.
Il principio femminile e il principio maschile muovono e organizzano da sempre le società umane. La questione, dunque, è politica e risale alla notte dei tempi. La questione per altro trascende il genere. Se la pensiamo in un senso più generale, di “femminile” e di “maschile” è fatto l’essere umano, sia esso donna o uomo.
Studio e amo i classici greci da sempre. Eumenidi di Eschilo, l’ultimo capitolo dell’Orestea, è stato letteralmente una folgorazione.
Con Eumenidi, Eschilo illumina un passaggio epocale da un’era, dove la giustizia era in mano alle Erinni, ad un’altra dove la giustizia, voluta da Atena, passa in mano agli uomini: una giustizia che si erge sul principio maschile e sul principio del padre che protegge la casa.
“Tutta, tutta del padre io sono” è un viaggio all’interno di Eumenidi, condotto con lo stesso team, in scena e fuori, di Supplici. Ho sentito necessario dare durata a questo straordinario gruppo di lavoro, una sorta di laboratorio permanente di studio e restituzione dei classici, in chiave corale e moderna.
Le sette attrici sono le Eumenidi. E la storia sarà raccontata da loro.
La riscrittura parte dalla fine del testo. Vediamo le Erinni ormai rese innocue dall’azione normante e istituzionalizzante di Atena, le furie, insomma, sono diventate divinità da venerare ma nulla di più: Eumenidi, per l’appunto. Atena è stata abilissima nel portarle a sé, nell’inglobarle, svuotandole, di fatto, di senso. Rappresentano il femminile domato, reso docile al comando. Assistiamo, dunque, ad una sorta di viaggio a ritroso, dove le Eumenidi cercano di ricostruire il proprio passato. Se Eschilo si propone di raccontare il passaggio da Erinni ad Eumenidi, noi, qui, tentiamo di compiere esattamente il percorso opposto. Lo facciamo aiutati da altri autori e autrici, di epoche anche recenti, lo facciamo scandagliando le parole di Eschilo, a partire da una nuova traduzione del testo.
C’è stato un tempo dove a comandare era il principio femminile? Dunque c’è stato un tempo dove le civiltà erano matriarcali? C’è stato un tempo “diverso”, dove regnavano regole diverse, principi diversi? Poi cos’è successo?
Agamennone torna vittorioso ad Argo dopo i dieci anni di guerra contro Troia, Clitennestra, sua moglie, lo uccide con l’aiuto del suo amante, Egisto. Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, sobillato dalla sorella Elettra, vendica la morte del padre uccidendo la madre e il suo amante. A questo punto, le Erinni, antiche dee protettrici delle madri, si scagliano contro Oreste. Il ragazzo scappa ad Atene e, grazie all’intercessione di Apollo, raggiunge il tempio della giovane dea, protettrice della città, Atena. La Dea alata convoca i cittadini migliori perché emettano una giusta sentenza: salvezza o condanna per il matricida? I cittadini votano, ma i loro voti sono esattamente a metà, tocca dunque ad Atena decidere. Dà il suo voto per la salvezza del ragazzo. Oreste è salvo, le Eumenidi sconfitte, l’ordine è ripristinato, il tribunale degli uomini fondato, il principio sancito: sarà il padre a comandare.
Nello scontro tra le Erinni (vecchie dee, figlie di un sistema antico, probabilmente matriarcale) e Atena (giovane dea, figlia di un sistema che stava affermandosi o da poco affermato, decisamente patriarcale) sono racchiuse i principi su cui si è fondato l’agire e il pensare politico e sociale delle culture successive, compresa la nostra. Il principio maschile si fonda sulla forza, nomina il padre a guida assoluta e ripristina l’ordine. Il suo strumento è la guerra. Il principio femminile si fonda sull’autodeterminazione (Clitennestra, uccidendo Agamennone, decide di affermare se stessa come persona, non il sé come madre, né il sé come moglie) e nel farlo, genera caos. Il suo strumento: la pura legge di natura, riaffermata poi dalle Erinni (custodi della sapienza antica), che intimano ad Oreste “non si uccidono le madri”. Il maschile e il femminile, presenti tanto nell’uomo quanto nella donna, si manifestano, dunque, come forze arcaiche che muovono il mondo e segnano il nostro destino.
La parte femminile è quella parte di noi capace di generare, di creare, di inventare, di rivoluzionare, è la parte più vicina alla natura nella sua complessità. Indomabile, inafferrabile, a tratti violenta, non solo, dunque, accogliente e accudente come si vuol far credere.
La parte maschile è quella normativa, che ci porta all’ordine e al raziocinio ma anche all’uso della forza (e dunque della guerra) come fatto derimente dei conflitti.
Il resto (patriarcato/matriarcato, divisioni di genere, maschilismo/femminismo) sono per lo più costruzioni culturali atte a conservare un potere a scapito di un altro, affermando la supremazia di un principio a scapito dell’altro.
Serena Senigaglia