LA PIANA – Progetto di Arte Partecipata
Davanti al Teatro Ringhiera, nella periferia sud di Milano, c’è un enorme spazio vuoto di 6400 mq che gli abitanti chiamano da sempre la Piana. Questa terra di nessuno è nascosta, sopraelevata e pedonale. Aspetti che la rendono un luogo ambiguo e intrigante. Quando Atir nel 2007 prende in gestione il teatro, la Piana è un non-luogo di malessere e disagio sociale, disabitata o male abitata. Fabio Chiesa, attore e socio Atir, inizia a dipingere fiori fra le crepe dell’asfalto insieme ai bambini del quartiere. Intravede in questo gioco una possibile inversione di tendenza. Alla morte improvvisa di Fabio, la compagnia ATIR decide di completare il suo sogno, coinvolgendo periodicamente i cittadini del quartiere nella creazione di un grande prato di fiori dipinti sul piazzale. Nel 2012 alla terra di nessuno viene dato un nome: l’amministrazione Pisapia intitola il piazzale a Fabio Chiesa. E diventa terra di tutti. Prende forma il percorso di riqualificazione e riappropriazione dello spazio, vissuto periodicamente da adulti e bambini.
A partire da questo immaginario di arte partecipata, nel 2014 ATIR organizza lo Street Art Festival durante il quale artisti di fama internazionale ridisegnano l’intero edificio. La Piana diventa un sogno di possibile aggregazione del quartiere, il cuore pulsante della socialità. È possibile immaginare un gioco da piazzale per il villaggio storto della periferia milanese, che abbia durata, che non si limiti al tempo di un grande evento? Per ATIR Teatro Ringhiera, lo è. Nasce così il progetto la Piana.
La Piana come una tela bianca sulla quale proiettare installazioni e progetti le cui caratteristiche, “le regole del gioco”, siano:
1) forte impatto visivo e artistico
2) edificabilità solo attraverso la partecipazione di una moltitudine
3) arredo urbano modulabile, scalabile, trasformabile
Il progetto prevede un contest internazionale tramite bando, a scadenza periodica, rivolto ad artisti e progettisti, che dovranno immaginare e coordinare la realizzazione dell’opera collettiva. Le reti di consulenza rispetto alla realizzazione del progetto coinvolgono associazioni, professionisti, ricercatori e studenti universitari.
La Piana è già diventata oggetto di studio di una tesi di laurea in architettura presso il Politecnico di Milano nel 2014, di un intero corso di progettazione dell’università SUPSI di Lugano nell’anno accademico 2014-2015 ed è attualmente il tema principale del corso di Temporary Urban Solutions di un Master internazionale di Design del Politecnico di Milano. Numerose associazioni (v. punto 2.4) e professionisti hanno partecipato spontaneamente a tavoli di lavoro sul progetto contribuendo a definirne gli obiettivi e gli aspetti principali.
È chiaro che l’obiettivo del progetto è quindi duplice:
– restituire un senso di appartenenza e di affezione a questo piazzale da parte del quartiere e della città di Milano.
– vivere un luogo aperto e innovativo di sperimentazione artistica e urbanistica, in grado di cambiare la propria pelle nel corso del tempo.
Si tratta di un progetto senza chiari margini di azione né una reale committenza, ma con tanta potenziale energia a cui vale la pena di pensare. Lo strano piazzale asfaltato è un luogo surreale, odiato e amato, evitato e accudito a fasi alterne da molte diverse comunità di persone nel corso degli anni. Il teatro stesso è parte un complesso pubblico anni ‘70 che raccoglie servizi comunali amministrativi vari e qualche residuo di utopia.
Il progetto ha un approccio multi-scalare che fa convivere attività più brevi e immediate con progetti di lunga durata. Il modello è quello dei giardini di prefigurazione, che attraverso un’installazione temporanea evocano una soluzione più strutturata e duratura. Le installazioni selezionate dal concorso a scadenza biennale hanno l’intento di garantire una differenziazione di programmi e usi nel corso del tempo, anche attraverso il loro processo di progettazione e realizzazione. Consideriamo il grande prato di fiori dipinti spontaneamente dagli amici e dagli abitanti in ricordo di Fabio come la prima di queste installazioni, da cui trarre insegnamento rispetto ai metodi di progettazione e realizzazione: un solo ideatore iniziale, tantissimi partecipanti, che, insieme, contribuiscono a modificare e consolidare la sua idea, trasformandola per appropriarsene.